Sulle orme di Francesco, uomo estremo ma non estremista
Il 4 ottobre 2026 saranno esattamente 800 anni dalla morte di Francesco. Quali parole abbiamo dimenticato? Creatura, povertà, pace, natura… Davide Rondoni, poeta e scrittore, presidente del Comitato nazionale per la celebrazione dell’ottavo centenario della morte di San Francesco d’Assisi, rilegge un uomo e un santo che è stato prima di tutto un amante della vita
Che cosa vuol dire parlare di San Francesco oggi? Quali insegnamenti abbiamo dimenticato? Quali sono le parole che dovremmo riscoprire? Da questi spunti nasce il dialogo con Davide Rondoni, poeta e scrittore, presidente del Comitato nazionale per la celebrazione dell’ottavo centenario della morte di San Francesco d’Assisi, che cadrà nel 2026. È proprio questa la circostanza per cui il Parlamento ha ripristinato – pochi giorni fa – il 4 ottobre come festa nazionale. Rondoni è in libreria con il suo libro La ferita, la letizia. Faccia a faccia con San Francesco, poeta di Dio e del mondo (Fazi Editore).
Rondoni, cosa vuol dire parlare di San Francesco oggi?
Le parole indicano esperienze. Una delle cose che le parole e l’esperienza di Francesco ci invitano a guardare è porci questa domanda: «Io sono una creatura o sono un grumo di vita casuale dell’universo?». Da questa risposta, da questa posizione dipende tutto. Noi siamo figli di un’epoca in cui pensiamo di essere artefici della nostra vita, ma poi veniamo smentiti in questa ipotesi ad ogni piè sospinto. La vita ci insegna, ripetutamente, che non sei tu il padrone della vita. Ma se non sei tu il padrone della vita, chi è che la crea? Chi è che ti dà l’aria che respiri? Francesco ci invita in maniera potente, attraverso la sua testimonianza e le sue parole, a fare i conti con qualcosa che ne Il Cantico delle creature lui chiama «Altissimo, Onnipotente Buon Signore». Oggi credo che questa questione sia fondamentale, non solo in termini culturali, filosofici, religiosi, ma esistenziali.
Oggi sembra che il modo per rispondere alla vita sia l’estremismo. Francesco era contro gli estremisti, era un uomo di un’assoluta misericordia e di un’assoluta amicizia. Era un uomo estremo, ma non un estremista
Davide Rondoni, poeta
Perché?
Perché se non sei una creatura, il minimo che ti capita nella vita è di vivere con una grande ansia. Non si può vivere pensando di non “andare bene”, almeno in qualche modo, per cui oggi c’è una continua ricerca di una conferma di andare bene: nelle relazioni, in una prestazione, davanti allo specchio. Questa ossessiva ricerca di qualcosa che mi confermi che “vado bene”, che “non sono sbagliato” è un generatore d’ansia, perché se poi la prestazione a cui affido il mio andare bene fallisce, diventa un grande problema. Non capisco le persone che dicono ai ragazzi che la vita non è una prestazione. Certo che è una prestazione, però dipende come la misuri. La vita è una lotta, è una prestazione, però se questa prestazione la intendi come il giudizio universale, allora ti viene l’ansia. Se invece non è il giudizio universale, perché comunque tu sei una creatura, vai bene a prescindere, allora provi, sbagli, ricominci e comunque vada la prestazione… non è la fine del mondo. Questo credo che sia uno degli elementi: avere il senso creaturale è il contrario del vivere ansiosamente.
E come ci invita a vivere San Francesco?
Francesco ci invita a vivere in maniera un po’ sommaria, a vivere serenamente. Tutti parlano dell’ansia dei giovani, dei problemi ad essa connessi e del risultato anche in termini di violenza che questo può causare. Una persona ansiosa non solo vive male, ma rischia anche di vivere male le relazioni, il mondo. Questa mi sembra una delle chiavi più attuali della personalità di Francesco, che era un uomo estremo, ma non un estremista. Oggi sembra che il modo per rispondere alla vita sia l’estremismo. Francesco era contro gli estremisti, di un’assoluta misericordia e di un’assoluta amicizia.
Se tu leggi l’elenco dei bambini morti a Gaza e ti auguri la pace, ma non dici che quei bambini risorgeranno, mi sembra che la pace sia ingiusta: è la pace per i sopravvissuti, ma gli altri? Io voglio la pace per tutti, anche per le vittime. Se no si chiama tregua: i sopravvissuti ne godono, gli altri no
Davide Rondoni, poeta
Parlare di San Francesco significa anche parlare di rispetto della vita degli altri, di dialogo, di pace…
La pace di cui parla San Francesco, che è anche il suo saluto – «la pace del Signore sia con voi» – è la pace che è un dono del Risorto, perché solamente un risorto può dare la pace: la può dare nei cuori, anche quando c’è un conflitto, anche quando stai male. La pace te la dà solo un risorto, cioè una persona che sfonda la prospettiva di limite della vita. Noi usiamo la parola pace per dire che bisogna farla tra Israele e Palestina, tra Russia e Ucraina. Ma la pace è un dono del risorto. Se tu leggi l’elenco dei bambini morti a Gaza e ti auguri la pace, ma non dici che quei bambini risorgeranno, mi sembra che la pace sia un po’ ingiusta: è la pace per i sopravvissuti, ma gli altri? Io voglio la pace per tutti, anche per le vittime. Se no si chiama tregua: i sopravvissuti ne godono, gli altri no. La pace di San Francesco è la pace del risorto che può albergare anche nel cuore di una persona che è in guerra: una guerra nel senso di un conflitto armato, ma anche una guerra personale con una malattia, con un problema, con una persona che le vuole male.
Il rispetto per la vita degli altri e per la propria nasce in Francesco dal fatto che la vita non è sua. La povertà di cui parla San Francesco non è la miseria. Lui per se stesso fa una scelta estrema di forma di vita, ma quando Francesco parla della povertà, non parla della miseria: lui era contro la miseria. La povertà, come sanno bene i poeti trovatori, come sa bene Dante, è quello sguardo che hai sul mondo se lo guardi come una cosa non tua. I tuoi figli li guardi, sono tuoi ma non sono tuoi. La donna con cui dormi non è tua. La povertà è amare ciò che non è proprio, ciò che non è mio, compreso il mio corpo. Se no Francesco non potrebbe dire «Sorella morte», che è un segno della povertà, cioè io non sono mio. Che è lo slogan più contrario di tutta l’epoca che viviamo, da tutti i punti di vista.
Ci spieghi meglio…
La nostra epoca è completamente fondata sull’«io sono mio e faccio di me quello che voglio». Francesco pensa esattamente il contrario: è disposto a mettere in discussione alcune categorie fondamentali del pensiero. La povertà non è la miseria. La povertà vuol dire che tutti i tuoi beni non ti appartengono, non sono il fondamento del tuo essere: che la vita non è la tua, che i tuoi figli non sono tuoi, che la tua donna non è tua. Questa è la povertà. Ma San Francesco non diceva che i poveri sono migliori degli altri. Ricordiamoci che anche l’economia che è nata da San Francesco è molto interessante: tutti dobbiamo restituire quello che ci è stato dato, che siamo poveri o che siamo ricchi.
Sorella povertà di cui parla Francesco non è la miseria. È quello sguardo che hai sul mondo se lo guardi come una cosa non tua. I tuoi figli li guardi, sono tuoi ma non sono tuoi. La donna con cui dormi non è tua. La povertà è amare ciò che non è proprio, ciò che non è mio, compreso il mio corpo. È dire «Io non sono mio», che è lo slogan più contrario di tutta l’epoca che viviamo
Davide Rondoni, poeta
Dire Francesco, per tutti significa dire rispetto del creato, dell’ambiente, degli animali. Cosa c’è rimasto, a distanza di dieci anni, della Laudato Sì di Papa Bergoglio?
C’è rimasto, da un lato, il fatto che Papa Francesco, essendo un gesuita, ha provato a fare il consigliere dei potenti. Mentre i potenti del mondo si radunavano intorno al tema dell’ecologia per mille motivi, anche economici e di interesse, il Papa ha provato a dare un consiglio e quel consiglio è stato la Laudato Sì, intendendola, sulla traccia del suo predecessore, come un’ecologia integrale. Questo è il tentativo che ha fatto Bergoglio, più o meno compreso dai potenti (che forse non l’hanno ascoltato molto) e anche da molti che hanno preso questo testo di antropologia e di ecologia integrale come una sorta di adesione alle idee ecologiste più in voga. Il rischio di quell’enciclica è che rimanga un’immagine generica, una sorta di adesione della Chiesa all’ecologismo, invece che come quel contributo originale che invece è.

In termini positivi, chi legge questa enciclica capisce (e, non a caso, ha pure il titolo francescano) che Il Cantico delle creature non è un cantico ecologista, è un inno all’Altissimo. Perché l’idea di natura o la fondi sull’idea che quello sia un mondo che devi in qualche modo controllare, dominare, di cui servirti, che devi provare a goderti, oppure – come si dice nella Laudato Sì – la natura è creazione, cioè è segno di un Altro. Sono due modi di guardare la natura completamente diversi, con conseguenze completamente diverse.
In occasione della Conferenza nazionale sull’infanzia e sull’adolescenza 2025, che si è appena conclusa a Roma, lei ha detto che sui bambini e sui ragazzi «c’è un grande lavoro da fare sulla simpatia»: cosa intende?
Io sono presidente del Comitato nazionale per la celebrazione dell’ottavo centenario della morte di San Francesco d’Assisi, che si celebrerà nel 2026 e il titolo del programma per le celebrazioni è “San Francesco un’esplosione di vita”. San Francesco, come tutto il cristianesimo, è un atto di simpatia alla vita, non un atto di accusa. Questo è il motivo per cui lui vince contro i catari, che invece erano un atto di antipatia alla vita. Francesco non disprezza la vita: si fa portare i biscotti prima di morire, abbraccia i lebbrosi. A San Francesco la vita sta profondamente simpatica perché l’ha fatta Dio. Se uno mette in opposizione la vita e Dio, come facevano i catari, allora per avvicinarti a Dio devi avere la vita antipatica.
Fonte : https://www.vita.it/sulle-orme-di-francesco-uomo-estremo-ma-non-estremista/
Autore : Ilaria Dioguardi