Rondoni, un poeta per celebrare gli 800 anni del santo e poeta Francesco

Il poeta Davide Rondoni sul palco del Meeting 2023 (foto Flickr Meeting)

Siamo già in cammino sul sentiero di grandi memorie francescane. Quest’anno si celebrano gli 800 anni del primo presepe di Greccio e poi la stessa commemorazione riguarderà le Stigmate e il Cantico delle creature. Il tutto culminerà nel 2026 con la ricorrenza degli 800 anni dalla morte del Santo di Assisi. Proprio in merito a quest’ultimo evento è stato nominato un Comitato nazionale per la celebrazione dell’ottavo centenario della morte di San Francesco d’Assisi con decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri. A quest’organismo è affidato il compito di elaborare un programma culturale relativo alla vita, all’opera e ai luoghi legati alla figura di San Francesco. Ne fanno parte 18 membri appartenenti a diversi ambiti educativi, culturali, religiosi e ne è presidente il poeta Davide Rondoni. Si definisce cattolico anarchico di rito romagnolo e lo troviamo per questa prima intervista sul suo incarico mentre sta terminando un commento poetico al Cantico delle creature che uscirà a quattro mani con padre Guidalberto Bormolini nei prossimi mesi. Rondoni è autore tra l’altro del libro Salvare la poesia della vita. In cammino con i poeti e Francesco. Con lui Tempi ha approfondito il tema di questa memoria, quale materia incandescente sia in gioco quando un santo è così vivo nel camminare accanto agli uomini anche dopo otto secoli.

Un poeta è stato chiamato a presiedere un comitato per celebrare un santo. Cosa c’è da aspettarsi?

Se il governo italiano ha scelto per la prima volta un povero poeta e non un professore o un chierico per presiedere un Comitato e lo ha fatto per Francesco è perché lui è un santo ed è un poeta che parla a tutti e per tutti è scandalo e segno. Il primo dato è certo quello dell’indegnità personale. Quando ci si accosta a una figura come quella di San Francesco la prima cosa che si avverte è l’indegnità assoluta, tanto più se ci si accosta con qualche responsabilità. Io sento che San Francesco è una deflagrazione di vita. E mi aspetto che lo sia per quanti più possibile in un tempo di difficoltà, di mestizia e di sterilità che attraversa la vita dell’Italia e dell’Europa. Francesco è un grande tesoro e ogni vero tesoro non è mai scoperto una volta per tutte. Ad esempio, Dante a proposito di Francesco parla di Oriente. Siamo in un cambio d’epoca, dove ci vogliono convincere ci sia uno scontro tra Occidente e Oriente, ma lo è in termini economici e per interesse di pochi. Dal punto di vista umano e spirituale il cristianesimo e Francesco sono una grande possibilità di incontro tra Occidente e Oriente.

A proposito della necessità di essere accompagnati dal tesoro che sono i santi, la voce paradossale di Chesterton sosteneva che ogni epoca si merita il santo che più la contraddice, che fa da antidoto ai suoi veleni. Vale anche per il nostro tempo e San Francesco?

Il santo non corregge solo l’epoca in cui è presente, ma tutte quelle che sono toccate dalla sua memoria e carisma. Francesco ha corretto ogni secolo, dal 1100 fino a oggi, dalle possibili deviazioni di disprezzo per il mondo reale che in ogni età si presentano sotto forme diverse.

San Francesco viene spesso rappresentato come un estremista, mentre era invece un uomo radicale con se stesso che ci ha salvato dagli estremisti. Il suo fu il tempo dell’avanzata dell’eresia catara, cioè dei puri, per i quali se volevi amare Dio dovevi disprezzare il mondo, la carne, la vita. Invece Francesco nel suo Cantico scrive «Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature». Francesco non ha detto ‘contro le creature’ o ‘nonostante le creature’, ma ‘cum’ tutte le creature. In questi versi si stabilisce un legame tra Creatore e creature che scardina una certa religiosità o spiritualismo estremisti per cui se si vuole amare Dio, o un qualsiasi Dio, bisogna disprezzare il mondo. Questo estremismo nel 1100 si presentò nella forma dei catari e oggi si presenta in altre forme abbastanza evidenti, nell’idea di purezza del naturale, o del Dio Pianeta astratto dalla vita delle creature, o alla purezza della non procreazione naturale, fino alla presunta purezza della tecnologia.

E Francesco mostra non solo che se il mondo fosse da disprezzare allora non avrebbe senso l’Incarnazione di Dio, ma propone la povertà come strada divergente al disprezzo, come leggerezza nel viaggio nel mondo. È la via del vivere la realtà come segno, e non come pretesto né come fine, come ci ha insegnato a chiamarla, tra gli altri, don Giussani. Al Meeting che si è appena concluso ho curato la mostra “Cum tucte” di Fondazione Lombardia per l’ambiente e il fulcro era proprio questa proposta ancora deflagrante del Cantico. I cristiani sono divisi tra chi dice le cose che dicono tutti per ricerca di consenso e chi invece muove, sul solco di San Francesco e altri grandi riformatori della Chiesa come don Giussani e Chiara Lubich, inquietudini giudizi e fraternità scandalose e originali perché fondate sull’amore a Cristo e all’Altissimu e non sulle ideologie di turno.

La povertà non è la miseria, ma l’andar leggeri, trattare la realtà come segno, è la via di chi conosce Dio amando il mondo fino in fondo. Questa voce ha salvato l’Italia e l’Europa dal diventare una terra di estremismo religioso. Ed è il motivo per cui dal francescanesimo non è nato solo una ecologia integrale, ma anche una forte capacità scientifica e imprenditoriale.

Il Cantico delle creature è una voce di lode intensa che nella sua forma compiuta viene alla luce dopo un momento estremamente forte di prova per Francesco. Non è una provocazione enorme stare di fronte al fatto che la via del dolore conduce alla lode?

Non la via del dolore in sé, ma la via dell’amore anche nel patimento conduce alla lode. Il dolore porta alla disperazione, se è solitario e abbandonato dall’amore al destino, cioè a Dio. San Francesco compone il Cantico in tre fasi della sua vita, la parte finale la scrive in un momento di grandissima sofferenza. Infatti scrive: «Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore, et sostengono infirmitate et tribulatione». La parola tribolazione viene da trebbiatrice, è la trebbiatrice del dolore. Che trebbia il campo del cuore e, come dice Mario Luzi in una splendida poesia, se ami «ti guarisce con dolore». Nel Cantico l’uomo entra in scena per una qualità: il perdono. Lode a Dio non perché l’uomo è bello o intelligente, ma perché perdona. La qualità del perdono, così come l’arte, in natura non esiste, essendo atti totalmente liberi. Francesco aveva chiaro che l’uomo non è né un carciofo né un algoritmo, ma possiede una libertà assoluta che si manifesta nel perdono, e nel trovare un senso al dolore e nell’arte, come nell’umanamente e non bestialmente amare.

Nel grande disegno del mondo dove le stelle illuminano e perciò sono preziose, «clarite et belle», l’uomo ha la libertà e il perdono, qualcosa che non è solo “natura”, “l’anello che non tiene”, avrebbe detto Montale. È evidente l’attualità della questione posta da San Francesco ed è la cosiddetta “somiglianza”, non identità, dell’uomo con Dio. Non a caso questa coscienza emerge in una poesia. La somiglianza dell’uomo con Dio è nella libertà che nel linguaggio artistico, nel perdono, nella sopportazione del dolore si mostra al massimo livello.

Alla luce di un contenuto così prezioso e dirompente ha già in mente come si muoverà il Comitato?

Abbiamo già fatto la prima seduta di insediamento ad Assisi, ne seguirà una seconda a breve a Roma. Il compito del Comitato è culturale e da qui al 2026 produrremo e favoriremo un programma di attività legate al centenario della morte di Francesco. Ho delle idee e attendo di conoscere quelle degli altri membri che sono autorevoli e preparati. Posso già dire che, ovunque vado, sento che c’è voglia di san Francesco, molto affetto per questo santo e poeta. In un tempo di depressione o passioni tristi Francesco è una deflagrazione di vita. Sto ascoltando la sua voce poetica, di chi si esprime con una lingua «vaga», direbbe Leopardi che, come Francesco, mai chiama la natura “madre” . La parola poetica desidera tanti significati, non si accontenta di uno, insegue la ricchezza delle parole per inseguire il mistero della vita. Francesco ha lasciato una poesia, un Cantico chiedendo che fosse cantato sempre. Se vogliamo fare un grande regalo a qualcuno gli lasciamo una poesia o un canto, perché è qualcosa che si fissa nella memoria e gli resta addosso anche se va in giro nudo. E quello che si canta in quel Cantico è da un lato la meraviglia lieta della povertà, e non il disprezzo, come sguardo sulla realtà e dall’altro la natura infinita dell’uomo. Si fa un gran parlare di natura, ma il vero problema è la natura dell’uomo. La parola natura esiste per gli uomini. Cosa ci connota dunque ? Il colore della pelle? Il paese in cui vive? Una tendenza sessuale? Se dessimo ragione a queste derive, potrei dire che la mia natura è essere romagnolo, e dovrei fare una lobby per ottenere un articolo della Costituzione italiana in dialetto romagnolo per non sentirmi escluso. Uso l’ironia per sottolineare l’evidenza che stiamo scambiando gli aggettivi per la sostanza. La sostanza dell’uomo è la libertà, il suo rapporto con l’infinito, non i suoi aggettivi. È questa la coscienza che san Francesco ridesta.

FONTE :  Tempi.it
AUTORE : Annalisa Teggi